I tre piccoli gufi | Breve storia sul processo di separazione

Sara, Bruno e Tobia sono tre piccoli gufi che vivono dentro il tronco di un albero insieme a Mamma Gufa. La storia inizia quando una notte i tre fratellini, risvegliatisi, fanno una terribile scoperta: Mamma Gufa non c’è più! “Dov’è la mamma?”, chiede Sara. “Oh, perbacco!”, esclama Bruno. Mentre Tobia, triste, piagnucola: “voglio la mamma”. I tre piccoli gufi iniziano a pensare dove possa essere andata e Sara e Bruno, i più grandicelli del gruppo, ipotizzano che potrebbe essere a caccia o a cercare cibo, insomma tornerà presto, non può essere andata lontana! E il piccolo Tobia? Lui, semplicemente, vuole la sua mamma! Alla fine, nonostante i fratellini inizino a dubitare possa essere successo qualcosa di brutto, Mamma Gufa torna a casa e, abbracciati i suoi piccoli, esclama: “perché vi agitate tanto? Lo sapevate che sarei tornata!”.

“I tre piccoli gufi”, scritto da Martin Waddell e Patrick Benson, è una breve storia per l’infanzia utile per aiutare i bambini ad affrontare il processo di separazione dalle figure di accudimento. Soprattutto in momenti come l’ingresso al nido o alla scuola dell’infanzia, infatti, alcuni bambini faticano a separarsi dal genitore per iniziare una nuova tappa del loro percorso di crescita che richiede l’acquisizione di nuove autonomie e di un maggiore grado di indipendenza.

Margaret Mahler, psicoanalista ungherese, ebbe un ruolo centrale nello studio delle relazioni precoci in infanzia e nell’osservazione di tutti quei processi psichici che concorrono alla formazione della personalità del soggetto. Fu lei a teorizzare che “la nascita biologica del bambino e la nascita psicologica dell’individuo non coincidono nel tempo. Mentre la prima è un evento drammatico, osservabile e ben circoscritto, la seconda è un processo intrapsichico che si svolge lentamente” (1975).

All’inizio della sua esistenza, il bambino vive in uno stato di unità duale con la madre che si prende cura di lui, entrandoci in sintonia e soddisfacendo i suoi bisogni primari come mangiare, dormire, etc.; in questi primi mesi è essenziale, per il neonato, sentire che qualcuno è in grado di rispondere in maniera adeguata alle sue richieste così da evitare l’esperienza di un senso di inconsolabilità e disintegrazione. Proprio a tal proposito Wilfred Bion, psicoanalista britannico, definisce che il ruolo della figura di accudimento è quello di “contenere” emotivamente il bambino, assumendo dentro di sé ciò che per il bambino è intollerabile e riproponendoglielo in una forma per lui più accettabile.

Superata la fase simbiotica, in cui il bambino ha potuto iniziare a costruirsi un senso di sé, comincia quello che la Mahler definisce il “processo di separazione-individuazione”, suddiviso in quattro sottofasi principali: differenziazione, sperimentazione, riavvicinamento e consolidamento dell’individualità e della costanza oggettuale.

Tra i 5 e i 10 mesi, l’infante inizia a poter differenziare il proprio mondo interno da quello esterno per poi, grazie anche all’acquisizione di funzioni autonome come la capacità di deambulazione, iniziare a sperimentare esplorando il mondo esterno. Man mano che procede nelle sue scoperte, però, il bambino comincia anche a rendersi conto della propria limitatezza e che, per riuscire a superare gli ostacoli che il mondo che gli pone davanti, è necessario chiedere l’aiuto del caregiver coinvolgendolo nelle proprie iniziative. Facendo ciò, in questa terza fase di riavvicinamento, il bambino teme di poter essere riassorbito nell’orbita fusionale materna, andando a perdere l’indipendenza acquisita da poco. Sarà solo grazie allo sviluppo di funzioni come il linguaggio e la capacità di simbolizzazione che riuscirà a trovare una giusta distanza dalla figura di accudimento, accedendo così alla fase di consolidamento della propria individualità e della costanza oggettuale.  

Il modo in cui il bambino affronta questo processo di separazione-individuazione nel suo percorso di sviluppo può influenzare notevolmente la sua capacità futura di gestire i momenti di separazione dalle figure di accudimento che, inevitabilmente, si verificheranno quando verrà lasciato con qualcuno preposto a prendersi cura di lui quando mamma e papà sono a lavoro o quando farà il suo ingresso al nido o alla scuola materna. Spesso, infatti, capita che alcuni bambini abbiano reazioni di pianto e disperazione di fronte alla possibilità di essere lasciati in nuovi ambienti, sperimentando una vera e propria sensazione di abbandono. Come Tobia, insomma, sono bambini che non riescono a mentalizzare la separazione ma reagiscono esperendo emozioni negative. E come comportarsi, da genitore, di fronte a manifestazioni di questo tipo? Forse, come Mamma Gufa, è opportuno trasmettere al bambino che non è necessario agitarsi perché “lo sai che tornerò!”. Il modo in cui il bambino vive la separazione, infatti, dipende molto da come gli viene presentata dal genitore stesso: una mamma che saluta il proprio bambino con sicurezza e tranquillità trasmetterà in lui un senso di fiducia, al contrario, una mamma che fatica a lasciarlo, mostrandosi ansiosa o preoccupata, infonderà nel suo bambino paura e insicurezza. È importante, in momenti come questi, che la mamma sappia instillare nel suo bambino la convinzione che riuscirà a stare bene anche senza di lei perché viene lasciato (e non abbandonato) in luogo sicuro dove altre persone sapranno prendersi cura di lui. Chiaramente, ogni bambino può avere bisogno di un suo tempo per elaborare in maniera positiva il processo di separazione; sicuramente, letture come “I tre piccoli gufi”, possono aiutare piccoli e grandi a prepararsi insieme per affrontare al meglio questa nuova sfida evolutiva nella relazione genitore-bambino.